Unabomber: le prove dell'uomo senza volto

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Caccia finita. Due parole e due anni e mezzo per pronunciarle. Per alzare bandiera bianca di fronte all’attentatore che dal 1994 al 1996 e dal 2000 al 2006 ha disseminato di trappole esplosive il Nord Est. L’ultima beffa di Unabomber ai danni dello Stato si è consumata. Se è ancora vivo starà esultando, Dio solo sa dove.

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Giampietro Lago ed Elena Pilli, consulenti del gip di Trieste Flavia Mangiante, hanno comunicato ai periti della difesa e delle parti civili che il Dna dell’attentatore, ricavato dai reperti sottoposti alle loro analisi, non corrisponde a quello degli undici indagati nell’inchiesta bis. Né a quello di ulteriori persone fisiche dal profilo genetico disponibile.

I prossimi passaggi saranno il deposito della corposa perizia, con una montagna di allegati, entro questo giovedì, e l’udienza già fissata per il 20 ottobre, in cui anche a questa seconda inchiesta sarà messa definitivamente la parola fine.

Restano insoluti tutti gli interrogativi di questi anni. Unabomber ha sempre agito da solo o, vista la diversa tipologia di ordigni nelle diverse fasi, gli attentatori sono stati più d’uno?
Cosa dedurre dal fatto che, specie nella fase iniziale, abbia colpito nei giorni di festa o nei luoghi di aggregazione di persone, dalle sagre a spiagge, chiese, supermercati, cimiteri?
Sono stati presi di mira bambini, specie con i congegni nelle confezioni di bolle di sapone e di Nutella. Perché? Per ottenere all’improvviso mediaticità?


È stato un caso che gli attentati, pianificati e avvenuti in province diverse, per quanto sempre sul territorio del Nord Est, abbiano determinato passaggi di consegne, conflitti di competenze e spesso gelosie tra le Procure di Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e Trieste, con in mezzo la creazione di un Pool alla fine smembrato?

Avrà mai un nome Unabomber? Sappiamo cosa l'ha spinto?

Una risposta ufficiale, a 31 anni dalla prima detonazione, ancora non c’è e tutti gli attentati meno uno, quello della bottiglia esplosiva a Caorle, commesso nel maggio 2006, sono finiti in prescrizione.

La vicenda si chiude con lo sconsolante bilancio di una monumentale inchiesta che ha bruciato una quantità smisurata di uomini e risorse arrivando a portare alla sbarra un uomo, Zornitta, a proscioglierlo, a indagarlo nuovamente dopo tredici anni insieme a un’altra decina di persone, a scagionare tutti quanti e a produrre come unica condanna, da consegnare alla storia, quella di un poliziotto accusato di aver falsificato una prova a carico del principale sospettato.

I reperti di Unabomber
dal 1994 al 2006

Riavvolgiamo il nastro. Sono dieci i reperti analizzati dai periti: tre formazioni pilifere del 2000 (bomboletta di stelle filanti al Carnevale di San Vito al Tagliamento, uovo al Continente di Portogruaro e tubo in un vigneto a San Stino di Livenza), due nastri isolanti, sempre del 2000 (confezioni di salsa di pomodoro del Continente e di maionese a Roveredo in Piano), impronte in tribunale a Pordenone nel 2003, l’inginocchiatoio di Portogruaro del 2004, la scatoletta di sgombro inviata dalle suore di Concordia Sagittaria alle consorelle in Romania e rinvenuta nel 2005 con dentro un ordigno inesploso, il congegno sotto il sellino di una bici di Portogruaro nel 2005 e una bottiglia di Coca Cola nel 2007. Oggi siamo in grado di farveli vedere.

Primo attentato
Sacile (Pordenone), 21 agosto 1994 - Sagra degli Osei

Il 21 agosto 1994, durante la Sagra degli Osei di Sacile (Pordenone), esplose un ordigno nascosto in un cestino dei rifiuti.
Fu il
primo attentato attribuito a Unabomber, l’anonimo attentatore che avrebbe colpito il Nord-Est per oltre dieci anni.
L’esplosione provocò diversi feriti lievi e grande
panico tra la folla.
L’ordigno, di piccole dimensioni ma costruito con precisione, mostrava già la
firma tecnica dell’attentatore.
Da quell’episodio iniziò una lunga serie di attentati con pacchi e oggetti esplosivi camuffati.

Nei parchi di Azzano Decimo (Pordenone)
5 marzo 1995

Il 5 marzo 1995 ad Azzano Decimo (Pordenone) furono ritrovati due tubi esplosivi nascosti in una siepe vicino a una strada.
Gli ordigni, scoperti casualmente da un passante, non esplosero e furono disinnescati dagli artificieri.
Si trattava di bombe artigianali, costruite con grande precisione e pronte a esplodere al passaggio di qualcuno.

Le modalità e i materiali utilizzati fecero subito pensare alla firma di Unabomber.

Qualche mese più tardi, il 30 settembre 1995 stessa tipologia in via Fratelli Bandiera a Pordenone

Cambiano gli obiettivi
San Vito al Tagliamento, 6 marzo 2000

Il 6 marzo 2000 a San Vito al Tagliamento (Pordenone) una donna rimase gravemente ferita aprendo una confezione di stelle filanti acquistata in un supermercato.
All’interno del rotolo era stato nascosto un piccolo ordigno esplosivo che detonò al momento dell’uso. La vittima riportò ustioni e lesioni al volto e alle mani

Ormai la paura era tanta, ovunque. Il 6 luglio 2000 a Lignano Sabbiadoro (Udine) un ordigno esplosivo fu trovato in uno stabilimento balneare. L’esplosivo, nascosto con cura in un tubo metallico lasciato sulla sabbia, non detonò per un difetto del meccanismo. L’episodio confermò che l’attentatore colpiva luoghi pubblici e casuali, seminando terrore e incertezza.
Fu uno dei momenti di maggiore allarme e tensione nella lunga indagine sul misterioso bombarolo del Nordest.

Le bombe nei supermercati
Portogruaro, 31 ottobre 2000

Pochi mesi dopo, Unabomber sembra cambiare strategia: il 31 ottobre 2000, Giorgio Mandinelli acquista una confezione di uova nel supermercato ''Continente'' di Portogruaro (Venezia); s' insospettisce e scopre che contiene un ordigno, che viene poi disinnescato dagli artificieri.

All’interno di un uovo era stato inserito un micidiale ordigno artigianale, che esplose al contatto. L’esplosione causò ustioni e ferite alle mani e al volto della vittima.

Gli inquirenti riconobbero subito la firma di Unabomber, per la precisione e la miniaturizzazione del congegno. L’attentato, compiuto in un luogo familiare e quotidiano, scioccò l’opinione pubblica

Nello stesso supermercato, pochi giorni dopo, il 7 novembre 2000, Nadia Ros, di 37 anni, di Cordignano (Treviso), acquista un tubetto di pomodoro che le esplode fra le mani. Quella sinistra rimane spappolata.

Un anno dopo, il 18 novembre 2001, è Maria Grazia Redico, di 38 anni, di Roveredo in Piano (Pordenone), ad acquistare, sempre al ''Continente'', un tubetto di maionese; s'insospettisce e lo consegna ai Carabinieri. Gli artificieri scoprono che contiene un ordigno.

Motta di Livenza, la bomba nel cero del cimitero
2 novembre 2001

Passa un anno prima della nuova bomba. È nascosta in un cero ed esplode, il 2 novembre 2001, a Motta di Livenza (Treviso). Vicino c'è Anita Buosi, di 63 anni - che rimane gravemente ferita.

Poi, il 24 luglio 2002 Unabomber ''torna'' nei supermercati: a Pordenone esplode un barattolo di Nutella che una donna (rimasta illesa) aveva comprato poco prima nell' Iperstanda di Porcia (Pordenone).


Poco più di un mese dopo, il
2 settembre 2002, fra le mani di un bambino (ferito in maniera lieve) esplode un tubetto di bolle di sapone appena comprato al Mercatone Zeta di Pordenone.

Risalgono alla sera della vigilia di Natale del 2002, quando scoppiò un ordigno nel duomo di Cordenons, in provincia di Pordenone; e al 24 marzo 2003 dello stesso anno, quando vi fu uno scoppio in uno sciacquone di un bagno del Palazzo di Giustizia di Pordenone. Due esplosioni ''anomale'' che avevano lasciato ipotizzare un cambio di strategia da parte di Unabomber: gli ordigni, infatti, erano scoppiati senza che nessuno li avesse toccati.

Unabomber supera i suoi tradizionali confini e si spinge più in là. Sul greto del Piave, insanguina la festa del 25 aprile 2003 con un ordigno sistemato in un pennarello di colore giallo. Francesca, di nove anni, lo raccoglie, il pennarello esplode: la bambina perde la vista da un occhio e tre dita di una mano.

Un oggetto simile a un accendino, avvolto in nastro adesivo nero, con fili elettrici e un innesco confezionato in modo che fa pensare a Unabomber è trovato il 2 aprile 2004 nella chiesa di Sant'Agnese, a Portogruaro, sotto il rivestimento in pelle di un inginocchiatoio.

Treviso, l'ovetto kinder
26 gennaio 2005

Unabomber si spinge all'estremità occidentale del suo raggio d'azione, collocando due contenitori per sorprese degli ovetti di cioccolato Kinder Sorpresa di cui solo uno contiene una carica esplosiva, in via Verdi, sopra una centralina telefonica nei pressi del tribunale.

Alle 9:20 l'involucro incriminato viene raccolto da un ragazzo di dodici anni della scuola media di Badoere Morgano, in uscita didattica con la classe per assistere a una rappresentazione teatrale nel capoluogo. Il giovane getta a terra il contenitore e lo calcia contro il recinto di un'abitazione, dove si apre ed esplode senza ferire nessuno. L'altro contenitore conteneva un semplice pupazzetto

Concordia Sagittaria-Bacău, 16 marzo 2005. Poco dopo l'episodio di Motta, un ordigno inesploso viene rinvenuto dalle Suore della Misericordia di Bacău, in Romania, all'interno di una scatola di sgombri probabilmente inviata un anno prima, insieme ad altri aiuti umanitari, dalle consorelle di Concordia Sagittaria. Le religiose italiane non confermano né smentiscono la circostanza, limitandosi a dichiarare: «Se qualcuno ha fatto del male sarà punito dalla giustizia divina».

Qualche giorno prima, a Motta di Livenza, il 13 marzo 2005, al termine di una funzione religiosa nella chiesa di San Nicola Vescovo, una bimba di sei anni accende una candela votiva elettrica con l'aiuto di una donna.

Il dispositivo esplode ferendo gravemente la piccola e leggermente la donna, mentre un anziano sviene alla vista del sangue. Il caso vuole che la sera prima Anita Buosi, la donna gravemente ferita sempre a Motta nel cimitero nel 2001, abbia acceso a sua volta alcuni ceri nello stesso candeliere. Il parroco dichiara che le candele erano state sostituite quello stesso mattino

9 luglio 2005, sempre Portogruaro. Alle 13:30 una donna, uscita di casa in bicicletta, sente cadere un oggetto da sotto il sellino: si tratta di un involucro esplosivo. La bicicletta in questione era rimasta parcheggiata per una settimana alla stazione ferroviaria e per altri tre giorni nel cortile della casa della proprietaria. La bomba conteneva nitroglicerina, era stata progettata per esplodere quando qualcuno si fosse seduto sul sellino della bicicletta e, fortunatamente, era stata resa non funzionante dalla pioggia che aveva interessato la cittadina per molti giorni

Passa un anno. Porto Santa Margherita (Caorle), 6 maggio 2006. Sul litorale presso la foce del Livenza due fidanzati trovano una bottiglia che al suo interno sembra contenere un messaggio. Uno dei due, Massimiliano Bozzo, infermiere, la raccoglie e la apre facendola esplodere, ferendosi gravemente alla mano sinistra e al collo (una scheggia giunge molto vicino alla carotide) e provocando lesioni anche alla giovane. Poco prima l'oggetto era stato notato da un uomo, che non l'aveva toccato. Si tratta ad oggi dell'ultima azione criminale ricondotta a Unabomber

La storia di Unabomber sembra fermarsi qui. C'è un altro caso, il 28 ottobre del 2007. A Zoppola, il 28 ottobre, un cacciatore ritrova un ordigno inesploso contenuto dentro una bottiglia di Coca-Cola. Su questo episodio c'è ancora un dubbio di attribuzione ma è stato considerato utile ai fini della riapertura dell'inchiesta del 2022.

In attesa del deposito della perizia (duemila pagine oltre ai corposi allegati) filtrano le prime anticipazioni: 68 i campioni di Dna sottoposti ad analisi. Tra essi sono balzate agli occhi le due coppie di formazioni pilifere rinvenute in due distinti reperti. In parole povere ci sono due persone diverse, di sesso maschile, che hanno avuto a che fare, a che titolo non si sa, con due ordigni. Sappiamo che non sono gli indagati, nè gli investigatori sottoposti a comparazione che ebbero a che fare per ragioni di lavoro con questi congegni.

Ma allora di chi sono questi profili genetici? Per comprenderlo bisognerebbe poter indagare più a fondo, ricomprendendo inquirenti deceduti, detective andati in pensione, clienti occasionali nei supermercati che possono aver preso e ricollocato oggetti sugli scaffali e via discorrendo.
E la Banca dati del Dna? Secondo indiscrezioni, i profili genetici su cui si è potuto lavorare non sarebbero tali da poter consentire una comparazione generalizzata.

Tutto sembra, insomma, condurre a un finale di tre parole, quello auspicato da Unabomber: fine dei giochi